At Anselmus filius horum, cum puer parvulus esset, maternis, prout aetas sua patiebatur, colloquiis libenter animum intendebat. Et audito unum Deum sursum in coelo esse, omnia regentem, omnia continentem, suspicatus est, utpote puer inter montes nutritus, coelum montibus incumbere, in quo et aulam Dei esse, eamque per montes adiri posse. Cumque hoc saepius animo volveret, contigit ut quadam nocte per visum videret se debere montis cacumen ascendere, et ad aulam magni regis Dei properare. Verum priusquam montem coepisset ascendere, vidit in planitie qua pergebat ad pedem montis mulieres, quae regis erant ancillae, segetes metere, sed hoc nimis negligenter faciebant et desidiose. Quarum puer desidiam dolens ac redarguens, proposuit animo se apud dominum regem ipsas accusaturum. Dehinc monte transcenso, regiam aulam subit. Dominum cum solo suo dapifero invenit. Nam familiam suam, ut sibi videbatur, quoniam autumnus erat, ad colligendas messes miserat. Ingrediens itaque puer, a domino vocatur. Accedit, atque ad pedes ejus sedet. Interrogatur jucunda affabilitate quis sit, vel unde quidve velit. Respondet ille ad interrogata, juxta quod rem esse sciebat. Tunc ad imperium domini panis ei nitidissimus per dapiferum affertur, eoque coram ipso reficitur. Mane igitur cum quid viderit ante oculos mentis reduceret, sicut puer simplex et innocens se veraciter in coelo et ex pane Domini refectum fuisse credebat, hocque coram aliis ita esse publice asserebat.
Anselmo, figlio di questi due genitori, quando era ancora un piccolo fanciullo, ascoltava con grande attenzione i discorsi della madre, per quanto la sua giovane età glielo permettesse.
E quando sentì dire che c’era un solo Dio, che abitava in alto, nel cielo, governando e contenendo ogni cosa, immaginò, da bambino cresciuto tra le montagne, che il cielo poggiasse sulle vette, e che là, in cima, si trovasse il palazzo di Dio, al quale si potesse accedere salendo i monti.
Mentre meditava spesso su questo pensiero, accadde che una notte ebbe una visione: gli sembrò di dover salire sulla cima di una montagna e di dirigersi verso la reggia del grande Re, Dio.
Ma prima ancora di iniziare la salita, vide nella pianura ai piedi del monte alcune donne, ancelle del Re, che stavano mietendo il grano, ma lo facevano con grande negligenza e pigrizia.
Il fanciullo, rattristato dalla loro svogliatezza, le rimproverò e decise nel suo cuore che le avrebbe denunciate al Re.
Poi, superata la montagna, giunse alla reggia e vi entrò.
Trovò il Signore solo con il suo dispensiere, perché – come gli parve di comprendere – tutta la sua corte era stata mandata, essendo tempo di mietitura, a raccogliere le messi.
Il fanciullo entrò e fu subito chiamato dal Signore.
Si avvicinò e si sedette ai suoi piedi.
Il Re, con affabile e gioiosa benevolenza, gli chiese chi fosse, da dove venisse e cosa desiderasse.
Anselmo rispose alle domande con semplicità, secondo ciò che sapeva.
Allora, per ordine del Signore, il dispensiere gli portò un pane bianchissimo, con il quale il fanciullo fu ristorato alla presenza del Re.
Quando al mattino si svegliò e richiamò alla mente ciò che aveva visto, con la semplicità e l’innocenza della sua età credette fermamente di essere stato veramente in cielo e di essere stato nutrito con il pane del Signore.
E così, con candida certezza, raccontava pubblicamente agli altri che questo era realmente accaduto.
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.