NOTEdiSTORIA

Quid plura? Cogitat ubi melius proficere queat, quod facere desiderat, et ita secum tractat. Ecce, inquit, monachus fiam. Sed ubi? Si Cluniaci vel Becci, totum tempus quod in discendis litteris posui, perdidi. Nam et Cluniaci districtio ordinis, et Becci supereminens prudentia Lanfranci, qui illic monachus est, me [ al., mihi] aut nulli prodesse, aut nihil valere comprobabit. Itaque in tali loco perficiam quod dispono, in quo et scire meum possim ostendere, et multis prodesse. Haec ut ludens [ al., lubens] ipsemet referre solebat, secum meditabatur, addebatque: Necdum eram edomitus, necdum in me vigebat mundi contemptus. Unde quod ego ut putabam, fretus aliorum charitate dicebam, quam damnosum esset non advertebam. Postmodum autem in se reversus. Quid, inquit? essene, monachum [ al., monachus] hoc est, velle scilicet aliis praeponi, prae aliis honorari, ante alios magnificari? Non. Illic ergo deposita contumacia monachus deveni, ubi sicut aequum est, cunctis propter Deum postponaris, cunctis abjectior habearis, prae cunctis parvipendaris, et ubi hoc esse poterit? Equidem Becci. Ibi siquidem nullius ponderis ero, quandoquidem ille ibi est, qui praeeminentis scientiae [ al., sapientiae] luce conspicuus cunctis sufficiens, cunctis honorabilis et acceptus. Illic ergo requies mea, illic solus Deus intentio mea, illic solus amor ejus erit contemplatio mea, illic beata et assidua memoria ejus felix solamen et satietas mea. Haec cogitabat, haec desiderabat, haec sibi provenire sperabat.

Che altro aggiungere?

Anselmo rifletteva su dove avrebbe potuto realizzare al meglio il suo desiderio di farsi monaco e così ragionava tra sé:

«Ecco, diventerò monaco. Ma dove?

Se andassi a Cluny o a Bec, avrei sprecato tutto il tempo dedicato allo studio delle lettere. Infatti, la severità della disciplina a Cluny e la straordinaria saggezza di Lanfranco, che è monaco a Bec, renderebbero inutile la mia conoscenza, o dimostrerebbero che essa non ha alcun valore. Dunque, dovrei scegliere un luogo in cui possa far fruttare il mio sapere e giovare a molti.»

Così, come lui stesso soleva raccontare con una certa ironia, meditava tra sé e aggiungeva:

«Non ero ancora addomesticato, né in me ardeva il vero disprezzo per il mondo. Perciò, quando parlavo in quel modo, credendo di farlo con il sostegno della carità altrui, non mi accorgevo di quanto fosse dannoso questo pensiero.»

Ma poi, rientrato in sé, si interrogò:

«Che cosa significa essere monaco? Non significa forse volere essere posto al di sotto degli altri, piuttosto che primeggiare su di loro? Non significa essere disprezzato invece di essere onorato, e ritenersi piccolo piuttosto che grande?»

«No. Dunque, mi farò monaco proprio là dove, come è giusto, sarò messo dopo tutti per amore di Dio, dove sarò considerato l’ultimo di tutti, il più insignificante di tutti. E dove potrebbe accadere questo? Certamente a Bec. Lì non avrò alcun peso, poiché là si trova colui che, con la sua eccelsa sapienza, è già luce per tutti, sufficiente a tutti, onorato e stimato da tutti.»

«Lì sarà il mio riposo, lì la mia unica intenzione sarà rivolta a Dio, lì il solo amore per Lui sarà la mia contemplazione, lì la beata e continua memoria di Lui sarà la mia felice consolazione e la mia sazietà.»

Questi erano i suoi pensieri, questi i suoi desideri, e a questa speranza affidava il suo futuro.

Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.