Inter haec scripsit etiam quamplures epistolas, per eas nonnullis ea, quae secundum diversitatem causarum sua [ al., suarum] intererant, procurare mandans, et nonnullis consilium de negotio suo quaerentibus, pro ratione respondens. Et quidem de his quae diversae causae scribi cogebant, mentionem facere supersedemus. Quid autem consilii cuidam Lanzoni, noviter apud Cluniacum facto monacho, per unam mandaverit, huic operi inserere curavi, quatenus in hac una cognoscatur quid de aliis perpendatur. Scripsit itaque inter alia sic: Ingressus es, charissime, professusque Christi militiam; in qua non solum aperte obsistentis hostis violentia est propellenda, sed et quasi consulentis astutia cavenda. Saepe namque dum tironem Christi vulnere malae voluntatis aperte malevolus non valet perimere, sitientem eum [al., tamen] poculo venenosae rationis malevole callidus tentat exstinguere. Nam cum monachum nequit obruere, vitae quam professus est odio, nititur eum conversationis in qua est subruere fastidio. Et licet illi monachicum propositum tenendum quasi concedat, tamen quia hoc sub talibus, aut inter tales, aut in eo loco incoepit, illum stultum nimis, imprudentemque multis modis versutiis arguere non cessat, ut dum illi persuadet incepto Dei beneficio ingratum existere, justo judicio nec ad meliora proficiat; nec quod accepit teneat, aut in eo inutiliter [al., utiliter] persistat. Quippe dum incessanter laboriosis cogitationibus de mutando, aut si mutari non valet, saltem de improbando initio meditatur, nunquam ad finem perfectionis tendere conatur. Nam quoniam illi fundamentum quod posuit displicet, nullatenus illi structuram bonae vitae superaedificare libet. Unde fit ut quemadmodum arbuscula si saepe transplantetur [al. transportetur], aut nuper plantata in eodem loco crebra convulsione [al., conversione] inquietetur, nequaquam radicare valens, ariditatem cito attrahit, nec ad aliquam fructus fertilitatem pervenit; sic infelix monachus, si saepius de loco ad locum proprio appetitu mutatur, aut in uno permanens frequenter ejus odio concutitur, nusquam amoris stabilitus radicibus ad omne utile exercitium languescit, et nulla bonorum operum ubertate ditescit. Cumque se nequaquam ad bonum, sed in malum proficere, si forte hoc recogitat, perpendit; omrem suae miseriae causam non suis, sed aliorum moribus injustus intendit; atque inde se magis ad odium eorum, inter quos conversatur, infeliciter accendit. Quapropter quicunque coenobitarum forte propositum aggreditur, expedit ei ut in quocunque monasterio professus fuerit, nisi tale fuerit ut ibi malum facere invitus cogatur, tota mentis intentione amoris radicibus ibi radicare studeat, atque aliorum mores aut loci consuetudines, si contra divina praecepta non sunt, etiamsi inutiles videantur, dijudicare refugiat. Gaudeat se jam tandem invenisse ubi se non invitum, sed voluntarium tota vita mansurum, omni transmigrandi sollicitudine propulsa, deliberet: ut quietus ad sola piae vitae exercitia exquirenda sedulo vacet.
Nel frattempo scrisse anche numerose lettere, con le quali incaricava alcuni di occuparsi di questioni che, a seconda delle diverse circostanze, lo riguardavano, e rispondeva a coloro che gli chiedevano consiglio sui loro affari, secondo quanto riteneva opportuno.
Eviteremo di menzionare qui quelle lettere che furono scritte per necessità legate a varie questioni.
Tuttavia, ho ritenuto opportuno inserire in quest’opera il consiglio che diede, in una delle sue lettere, a un certo Lanzone, che era da poco divenuto monaco a Cluny, affinché da questo esempio si possa comprendere il tenore delle altre sue risposte.
Scrisse dunque, tra le altre cose, quanto segue:
«Sei entrato nella vita monastica, carissimo, e hai professato la milizia di Cristo. In essa non solo bisogna respingere la violenza del nemico che si oppone apertamente, ma anche guardarsi dalla sua astuzia, che si presenta sotto apparenza amichevole.
Infatti, spesso, quando il demonio non riesce a colpire con la ferita di una cattiva volontà il novizio di Cristo, tenta comunque di spegnere la sua sete di vita spirituale con il velenoso calice di ragionamenti ingannevoli.
Poiché non riesce a sopraffare il monaco con l’odio per la vita che ha scelto, cerca di minarne la vocazione insinuandogli il disgusto per il luogo e la comunità in cui si trova.
E sebbene sembri concedergli che il proposito monastico sia da mantenere, non cessa però di persuaderlo che sia stato sciocco e imprudente ad averlo iniziato proprio in quel luogo e tra quelle persone.
In tal modo, mentre lo spinge a diventare ingrato per il dono ricevuto da Dio, lo priva, per giusto giudizio divino, sia della capacità di progredire verso un bene maggiore, sia di perseverare utilmente in ciò che ha ricevuto.
Infatti, colui che è costantemente turbato da pensieri faticosi sul cambiare monastero, o se non può farlo almeno sul disprezzare il luogo in cui si trova, non cerca mai di tendere alla perfezione.
Poiché il fondamento che ha posto gli è sgradito, non gli viene voglia di edificare su di esso un edificio di vita virtuosa.
Così, come un piccolo albero, se viene trapiantato troppo spesso, oppure, se da poco piantato, viene continuamente smosso nel terreno, non riuscendo a radicare si secca rapidamente e non giunge mai a produrre frutti, allo stesso modo un monaco infelice, se cambia frequentemente monastero per suo capriccio, oppure, pur rimanendo in uno solo, è continuamente agitato dall’avversione per esso, non si stabilizza mai nelle radici dell’amore e deperisce senza mai esercitarsi in alcuna opera utile, né arricchirsi di buone opere.
E quando, se mai arriva a riflettere, comprende di non progredire nel bene ma di peggiorare nel male, attribuisce ingiustamente la causa della sua miseria non a sé stesso, ma ai costumi degli altri.
E proprio per questo si lascia trascinare ancor più da un odio infelice verso coloro con cui convive.
Pertanto, chiunque abbia abbracciato la vita cenobitica farebbe bene a radicarsi saldamente, con tutta la sua volontà, nel monastero in cui ha professato la sua vocazione, a meno che non si tratti di un luogo in cui è costretto con la forza a fare il male.
Deve evitare di giudicare i costumi dei confratelli o le consuetudini del luogo, se non contrastano con i precetti divini, anche se possono sembrargli inutili.
Si rallegri piuttosto di aver trovato finalmente un luogo in cui possa dimorare, non per costrizione, ma per volontà propria, e decida di restarvi per tutta la vita, allontanando ogni preoccupazione di voler trasmigrare altrove.
Così, libero da tali inquietudini, potrà dedicarsi con zelo alla ricerca delle opere di una vita pia.»
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.