NOTEdiSTORIA

Quod si sibi videtur majora quaedam ac utiliora spirituali fervore appetere, quam illi praesentis monasterii institutionibus liceat, aestimet aut se falli sive praeferendo paria paribus, vel minora majoribus [al., minoribus], sive praesumendo se posse quod non possit, aut certe credat se non meruisse quod desiderat. Quod si fallitur, agat gratias divinae misericordiae, qua ab errore suo defenditur, ne sine emolumento, aut etiam cum jactura locum vel vitae ordinem mutando, inconstantiae levitatisque frustra crimen subeat, aut majora suis viribus experiendo fatigatus, deterius in priora, aut etiam in pejora prioribus deficiat. Si autem vere meliora illis quae in promptu sunt nondum meritus optat, patienter toleret divinum judicium, quod ulli [al., illi] aliquid injuste non denegat, [Ms. haec om.] neque murmurando aut obloquendo Deum offendat, sed aequanimiter omnia sufferet, omnia ad meliora conetur deducere ferendo ne per impatientiam judicem justum exasperans mereatur quod non habet non accipere, et quod accepit amittere; aut quia [al., quod] non amat, inutiliter tenere. Seu vero misericordiam, seu judicium erga se in illis quae non habet et optat, persentiat; laetus ex his quae accepit, largitati supernae gratias dignas persolvat. Et quia ad qualemcunque portum de procellosis mundi turbinibus potuit pertingere, caveat in portus tranquillitatem ventum levitatis et impatientiae turbinem inducere: quatenus mens constantia et mansuetudine tutantibus quieta, divini timoris sollicitudini et amoris delectationi sit vacua. Nam timor per sollicitudinem custodit, amor vero per delectationem perficit. Scio quia haec majorem aut scribendi aut colloquendi exigunt amplitudinem, ut plenius intelligatur, quibus scilicet dolis antiquus serpens ignarum monachum in hoc genere tentationis illaqueet, et contra quibus rationibus prudens monachus ejus [al., eas] callidas persuasiones dissolvat et annihilet: sed quoniam jam brevitatem quam exigit epistola excessi, et totum quod hinc dixi, aut dicendum fuit, ad custodiendam mentis quietem pertinet, hujus [al., omit.] rei brevis exhortatio epistolam nostram terminet. Nec putes, charissime, haec me dicere idcirco quod suspicer te aliqua mentis inquietudine laborare. Sed quoniam dominus Ursio [al., Ur sus] cogit me aliquam admonitionem tibi scribere, nescio quid potius moneam, quam cavere hoc sub specie rectae voluntatis, quod scio novitiis quibusdam solere subrepere. Quapropter, amice mi et frater dilectissime, consulit, monet, precatur te tuus dilectus dilector totis cordis visceribus, ut totis viribus quieti mentis studeas, sine qua nulli licet callidi hostis insidias circumspicere vel semitas virtutum angustissimas prospicere. Ad hanc vero monachus qui in monasterio conversatur, pertingere nullatenus valet sine constantia et mansuetudine, quae mansuetudo indissolubilis comes est patientiae; et nisi monasterii sui instituta, quae divinis non prohibentur mandatis, etiamsi rationem eorum non perviderit, ut religiosa studuerit observare. Vale, et omnipotens Dominus perficiat gressus tuos in semitis suis, ut non moveantur vestigia tua, ut in justitia appa eas in conspectu Domini, et satieris cum apparuerit gloria ejus.

Se gli sembra di desiderare, con fervore spirituale, qualcosa di più grande e più utile di quanto gli sia concesso dall’istituzione del monastero in cui si trova, valuti se non sia ingannato: o perché giudica uguali cose che in realtà sono diverse, o perché antepone cose minori a quelle maggiori, o perché presume di poter fare ciò che in realtà non gli è possibile, oppure creda che non abbia ancora meritato ciò che desidera.

Se si tratta di un inganno, ringrazi la misericordia divina, che lo difende dal suo errore, affinché non cada nel peccato di leggerezza e incostanza, cambiando luogo o stile di vita senza alcun profitto o, peggio, con danno per la propria anima. Infatti, potrebbe finire per abbandonare ciò che ha ricevuto senza ottenere nulla di meglio, o, sperimentando cose superiori alle sue forze, esaurirsi e infine cadere di nuovo nella condizione precedente, o addirittura in una peggiore.

Se invece desidera davvero qualcosa di migliore rispetto a ciò che ha a disposizione, ma non ne è ancora degno, sopporti pazientemente il giudizio divino, che non nega ingiustamente nulla a nessuno. Non si lamenti né si lanci in critiche contro Dio, ma sopporti tutto con serenità, e si sforzi di trarre il meglio da ogni cosa.

Non si lasci vincere dall’impazienza, perché, se provocasse con essa il giusto Giudice, potrebbe meritare di non ottenere ciò che non ha, di perdere ciò che ha ricevuto, o di possedere inutilmente ciò che non ama.

Sia che sperimenti la misericordia di Dio, sia che senta la sua giustizia in ciò che desidera ma non ha, si rallegri per i doni già ricevuti e renda grazie con devozione alla bontà celeste.

E poiché è riuscito a raggiungere un porto sicuro dalle tempeste e dai turbini del mondo, si guardi dal lasciare che il vento dell’instabilità e il vortice dell’impazienza turbino la sua tranquillità.

Così la sua mente, protetta dalla fermezza e dalla mansuetudine, potrà dedicarsi senza disturbo al santo timore di Dio e alla gioia dell’amore divino.

Infatti, il timore custodisce l’anima attraverso la vigilanza, mentre l’amore la perfeziona con la gioia.

So bene che questi argomenti richiederebbero una trattazione più ampia, sia per iscritto che a voce, affinché si comprenda pienamente con quali astuzie il serpente antico insinui nei monaci inesperti questa tentazione e con quali ragioni un monaco prudente possa annientare e dissolvere i suoi inganni.

Ma poiché ho già oltrepassato la brevità che si addice a una lettera, e poiché tutto ciò che ho detto finora riguarda la custodia della pace interiore, lascio che questa breve esortazione concluda la mia epistola.

E non pensare, carissimo, che io ti scriva queste cose perché sospetti che tu sia afflitto da qualche inquietudine interiore.

Ma poiché il signor Ursio mi ha chiesto di inviarti qualche ammonimento, non so cos’altro consigliarti se non di guardarti da questa insidia, che so insinuarsi in alcuni novizi sotto l’apparenza di un desiderio giusto.

Perciò, amico mio e fratello amatissimo, ti consiglia, ti ammonisce e ti supplica con tutto l’affetto del cuore il tuo più caro amico: impegnati con tutte le tue forze a conservare la pace della mente.

Senza di essa, nessuno può vigilare contro le insidie dell’astuto nemico o discernere i sentieri stretti della virtù.

E sappi che un monaco che vive nel monastero non potrà mai raggiungere questa pace senza costanza e mansuetudine, le quali sono compagne inseparabili della pazienza.

E non potrà mai conseguirle, se non si impegnerà a osservare con devozione le istituzioni del proprio monastero, purché non siano contrarie ai comandamenti divini, anche se non ne comprende appieno la ragione.

Addio, e che il Signore onnipotente renda saldi i tuoi passi sulle sue vie, affinché i tuoi piedi non vacillino e tu possa comparire con giustizia dinanzi a Dio e saziarti quando apparirà la sua gloria.

Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.