NOTEdiSTORIA

Cum vero abbas Herluinus, cujus supra meminimus, jam decrepitus monasterii causis intendere et opem ferre non valeret, quidquid agi oportebat sub Anselmi, utpote prioris, dispositione fiebat. Exigentibus igitur multiplicibus causis, eum foras monasterium ire saepe necesse fuit. Cui dum nonnunquam equi et alia quae sunt equitaturis necessaria deessent, praecepit abbas ei omnia quae opus erant parari, et illi soli sicut propria ministrari. At ille ad nomen proprietatis inhorruit, et reversus de itinere quaeque sibi specialiter fuerant praeparata, in viam ituris communiter exponi jussit, nec propter secuturam quam forsan erat passurus penuriam, unquam se retraxerit, quin ex sua copia caeterorum suppleret inopiam. Nec mirandum cum jam mundo illuserat [ al., illuxerat] eum se fratribus talem exhibuisse, cum sicut ipsemet referre solitus erat etiam quando adhuc in saeculari vita degebat, eo circa alios amore fervebat, ut quemcunque sui ordinis minus se habentem videret, ejus inopiam de abundantia sua libens pro posse suppleret. Jam tunc enim ratio illum docebat omnes divitias mundi pro communi hominum utilitate ab uno omnium Patre creatas et secundum naturalem legem nihil rerum magis ad hunc quam ad istum pertinere. Taceo quod illi saepe plura auri et argenti pondera a nonnullis sunt oblata, quatenus ea in suos suorumque usus susciperet, servaret, dispenderet: quae ipse nulla patiebatur ratione suscipere, nisi forte communi fratrum utilitati profutura abbati praesentarentur. Sed cum is qui sua offerebat, econtra diceret se nullam tunc voluntatem habere ut abbati vel monachis aliquid daret, nisi ei soli, referebat ille se talium opus non habere, nec aliter a quoquam velle quidquam accipere.

Quando l’abate Herluino, di cui abbiamo già parlato, ormai vecchio e decrepito, non era più in grado di occuparsi delle questioni del monastero e di fornire il suo aiuto, tutto ciò che doveva essere fatto avveniva sotto la direzione di Anselmo, in quanto priore. Per molteplici necessità, fu spesso costretto a uscire dal monastero.

Poiché talvolta gli mancavano cavalli e le altre cose necessarie per il viaggio, l’abate ordinò che tutto ciò di cui aveva bisogno gli fosse preparato e messo a disposizione come se fosse di sua proprietà. Ma al solo sentir parlare di proprietà, Anselmo rabbrividì, e al suo ritorno dal viaggio dispose che tutto ciò che era stato riservato a lui fosse reso disponibile a tutti coloro che dovevano partire. Inoltre, non si trattenne mai dal condividere ciò che possedeva per supplire alla mancanza altrui, pur sapendo che ciò poteva causargli privazioni future.

Non c’è da meravigliarsi che egli si comportasse così con i suoi fratelli, dal momento che, come era solito raccontare, anche quando viveva ancora nel mondo, era animato da un tale fervore di amore verso gli altri che, se vedeva qualcuno del suo stesso stato in difficoltà, cercava volentieri di colmare la sua mancanza con le proprie risorse.

Già allora la ragione lo istruiva sul fatto che tutte le ricchezze del mondo erano state create da un unico Padre per il bene comune degli uomini e che, secondo la legge naturale, nulla appartiene più a uno che a un altro.

Non dirò nulla, poi, delle numerose offerte di oro e argento che gli furono fatte da alcuni, affinché le accettasse e le utilizzasse per sé e per i suoi cari: egli non volle mai accettare nulla, a meno che quei doni non fossero destinati al bene comune dei fratelli e presentati direttamente all’abate.

E quando chi offriva replicava di non avere alcuna intenzione di donare qualcosa all’abate o ai monaci, ma solo a lui personalmente, Anselmo rispondeva di non aver bisogno di quei beni e che non avrebbe mai accettato nulla, se non destinato al bene comune.

Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.