Delegatis itaque monasterii causis curae ac sollicitudini fratrum, de quorum vita et strenuitate certus erat, ipse Dei contemplationi, monachorum eruditioni, admonitioni, correctioni jugiter insistebat. Quando autem aliquid magni in negotiis Ecclesiae erat agendum quod in ejus absentia non aestimabatur oportere definiri, tunc pro tempore et ratione negotium quod imminebat, mediante justitia, disponebat. Abominabile quippe judicabat, si quidvis lucri assequeretur ex eo quod alius contra moderamina juris quavis astutia perdere posset. Unde neminem in placitis patiebatur a suis aliqua fraude circumveniri, observans ne cui faceret quod sibi fieri nollet. Hinc procedebat quod inter placitantes residens, cum adversarii ejus per sua consilia disquirerent quo ingenio, quave calliditate, suae causae adminiculari, et illius valerent fraudulenter insidiari; ipse talia nullatenus curans, eis qui sibi volebant intendere aut de Evangelio, aut de aliqua alia divina Scriptura, aut certe aliquid de informatione morum bonorum disserebat. Saepe etiam cum hujusce auditores deerant, suaviter in sui cordis puritate quiescens, corpore dormiebat. Eveniebatque nonnunquam ut fraudes subtili machinatione compositae, mox ubi sunt in audientiam illius delatae, non quasi a dormiente, qui tunc erat, sed sicut a perspicaciter vigilante et intendente sint detectae atque dissectae. Charitas enim quae non aemulatur, quae non agit perperam, quae non quaerit quae sua sunt (I Cor. XIII, 4), in eo vigebat, per quam quae videnda erant veritate monstrante extemplo perspiciebat.
Affidate quindi le questioni amministrative del monastero alla cura e alla diligenza dei fratelli di cui conosceva la vita e la rettitudine, Anselmo si dedicava costantemente alla contemplazione di Dio, all’istruzione, all’ammonizione e alla correzione dei monaci.
Quando poi si presentava qualche questione importante per la Chiesa, che non si riteneva opportuno risolvere in sua assenza, allora, secondo le necessità del momento e la natura dell'affare, prendeva le decisioni che riteneva più giuste, sempre guidato dalla rettitudine.
Riteneva infatti abominevole ottenere qualsiasi vantaggio da ciò che un altro poteva perdere con l’astuzia e contro le regole della giustizia.
Per questo motivo non permetteva che nessuno dei suoi fosse raggirato con frodi nei processi, osservando scrupolosamente il principio di non fare ad altri ciò che non avrebbe voluto fosse fatto a lui.
Di conseguenza, quando assisteva a dispute legali, mentre la parte avversa cercava di sostenere la propria causa con ingegno e sotterfugi e di tendere insidie fraudolente ai suoi, egli, senza curarsi di tali manovre, parlava a chiunque volesse ascoltarlo del Vangelo, di altre Scritture divine o, in alternativa, di questioni legate alla formazione morale.
Spesso, quando non c’era nessuno disposto ad ascoltarlo, restava sereno nella purezza del suo cuore e si abbandonava tranquillamente al sonno.
Accadeva così talvolta che, quando le macchinazioni più subdole e ben congegnate venivano presentate al suo giudizio, egli, pur essendo stato apparentemente immerso nel sonno, le smascherava e le confutava con la chiarezza di chi invece era stato vigile e attento.
Infatti, la carità, che non è invidiosa, non agisce in modo scorretto, non cerca il proprio interesse (1 Cor 13,4-5), risplendeva in lui, e attraverso di essa egli riusciva a discernere immediatamente, con la luce della verità, tutto ciò che doveva essere compreso.
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.