Cum igitur Anselmus transito mari Cantuariam veniret, pro sua reverentia et omnibus nota sanctitate, honorifice a conventu Ecclesiae Christi in ipsa civitate sitae susceptus est. Pro quo honore nolens ingratus existere, postmodum ipsi monachorum conventui a gratiarum actione inchoans, procedente in hoc verborum serie de charitate locutus est, rationabiliter ostendens eum qui charitatem erga alterum [ al. omit. e. a.] habet, majus aliquid habere, quam illum ad quem charitas ipsa habetur: « ipse enim inter alia, inquit, qui charitatem habet, hoc unde Deus ei scit gratias habet; ille vero ad quem tantummodo habetur, minime. Quas etenim gratias mihi debet Deus, si tu me vel quilibet alius diligit? Quod si majus est habere hoc unde Deus scit homini grates, quam hoc unde nullas; cum pro habita charitate gratias sciat, pro suscepta non adeo; colligitur eum qui charitatem erga alium habet, majus quid habere quam ipsum qui impenditur. Amplius: Is cui dilectio alterius servit, solius commodi munus perfunctorie suscipit; verbi gratia, honorem unum, beneficium unum, prandium unum, vel quodlibet officii genus in hunc modum. Alius vero charitatem quae commodi munus exhibuit, sibi retinuit. Quod in vobis et in me, sanctissimi fratres, libet in praesenti considerare. Ecce unum charitatis officium mihi impendistis. Impendistis, inquam, mihi charitatis officium unum, et a me jam ipsum officium transiit; charitas vero ipsa, quae Deo est grata, vobis remansit. Nonne melius judicatis bonum permanens bono transeunte? Adhaec si ex ipso officio circa vos aliquid charitatis in me crevit, et hoc ipsum vobis ad cumulum retributionis erit, qui fecistis unde mihi tantum bonum provenit. Si non vobis tamen [ al., tantum] charitas vestra remansit, a me officium quod exhibuistis penitus transiit. Haec igitur si recta consideratione attendimus, profecto perspiciemus magis nobis esse gaudendum, si alios diligimus, quam si diligimur ab aliis. Quod quia non omnes faciunt, multi potius ab aliis amari quam amare alios cupiunt. » Haec et hujusmodi multa locutus est, et accepta fraternitate monachorum, factus est inter eos unus ex eis. Degens per dies aliquot inter eos et quotidie, aut in capitulo, aut in claustro mira quaedam et illis adhuc temporibus insolita de vita et moribus monachorum coram eis rationabili facundia disserens. Privatim quoque aliis horis agebat, cum his qui profundioris ingenii erant, profundas eis de divinis nec non saecularibus libris quaestiones proponens, propositasque exponens. Quo tempore et ego ad sanctitatis ejus notitiam pervenire merui, ac pro modulo parvitatis meae beata illius familiaritate utpote adolescens, qui tunc eram, non parum potiri.
Quando Anselmo, attraversato il mare, giunse a Canterbury, fu accolto con onore dalla comunità monastica della Chiesa di Cristo, situata nella città, a motivo della sua venerabile persona e della sua santità, nota a tutti.
E poiché non voleva mostrarsi ingrato per tale onore, in seguito, rivolgendosi alla comunità monastica, iniziò il suo discorso con un ringraziamento e, proseguendo nel suo discorso, parlò della carità, dimostrando razionalmente che chi possiede la carità verso un altro possiede qualcosa di più grande di colui che ne è oggetto:
«Infatti» – disse tra le altre cose – *«chi ha la carità possiede ciò per cui Dio gli è riconoscente; mentre colui che ne è solo destinatario, no.
Infatti, quali grazie dovrebbe rendermi Dio se tu o qualcun altro mi ami?
Ora, se possedere ciò per cui Dio ringrazia un uomo è più grande che possedere ciò per cui non lo ringrazia, e poiché Dio ringrazia per la carità ricevuta ma non altrettanto per quella solo accolta, ne consegue che chi possiede la carità verso un altro possiede qualcosa di più grande di colui che ne è oggetto.
Inoltre, colui che è amato da un altro riceve semplicemente il beneficio di un dono; ad esempio, riceve un onore, un favore, un pasto, o qualsiasi altra forma di cortesia.
Ma colui che dona conserva in sé la carità, che è gradita a Dio.
Questo possiamo vedere ora tra voi e me, venerabili fratelli.
Ecco, mi avete reso un gesto di carità. Lo avete compiuto verso di me, sì, ma l’atto stesso è ormai passato da me; invece la carità che lo ha ispirato, e che è gradita a Dio, è rimasta con voi.
Non giudicate forse che un bene che permane sia migliore di uno che passa?
Inoltre, se proprio grazie a questo atto di carità il mio cuore si è accresciuto nella carità verso di voi, anche questo verrà a sommarsi alla vostra ricompensa, poiché siete stati voi a causare un bene tanto grande per me.
Dunque, anche se non aveste ricevuto nulla in cambio, la vostra carità sarebbe comunque rimasta con voi, mentre il gesto che mi avete rivolto è ormai passato.
Se consideriamo rettamente queste cose, vedremo chiaramente che dovremmo gioire di più nel poter amare gli altri, piuttosto che nell’essere amati da loro.
Eppure, non tutti lo comprendono, e per questo molti desiderano più essere amati dagli altri che amare essi stessi.»*
Anselmo pronunciò queste e molte altre parole simili, e, accolta la fraternità dei monaci, divenne uno di loro.
Trascorrendo diversi giorni con loro, ogni giorno teneva discorsi nel capitolo o nel chiostro, trattando con razionale eloquenza argomenti straordinari e, per quei tempi, ancora inusuali sulla vita e i costumi monastici.
In privato, inoltre, dedicava altre ore del giorno a conversare con coloro che erano dotati di ingegno più acuto, ponendo loro questioni profonde tratte dai testi sacri e da quelli secolari, e spiegando le risposte ai problemi che proponeva.
Fu in quel periodo che anche io ebbi il privilegio di conoscere la sua santità e, per quanto lo consentiva la mia umile condizione, di godere della sua beata familiarità, essendo allora un giovane ancora in età adolescenziale.
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.