Sed Anselmus, ut vir prudens, viro prudenti juxta interrogationem sibi propositam simpliciter ita respondit, dicens: « Palam est quod is, qui ne leve quidem contra Deum peccatum admittat, mori non dubitat; multo maxime mori non dubitaret, priusquam aliquo gravi peccato Deum exacerbaret. Et revera gravius peccatum videtur esse Christum negare, quam quemlibet terrenum Dominum pro redemptione vitae suae homines suos per ablationem pecuniae illorum ad modicum gravare. Sed hoc quod minus est, Elfegus noluit facere. Multo igitur minus Christum negaret, si vesana manus eum ad hoc mortem intentando constringeret. Unde datur intelligi miram pectus ejus justitiam possedisse, quando vitam suam maluit dare, quam, spreta charitate, proximos suos scandalizare. Quamobrem longe fuit ab eo illud vae, quod Dominus minatur ei per quem scandalum venit (Matth. XVIII, 7). Nec immerito, ut reor, inter martyres computatur, qui pro tanta justitia mortem sponte sustinuisse veraciter praedicatur. Nam et beatus Joannes Baptista, qui praecipuus martyr et veneratur et creditur a tota Dei Ecclesia, non quia Christum negare, sed quia veritatem tacere noluit, occisus est. Et quid distat inter mori pro justitia et mori pro veritate? Amplius: cum testante sacro eloquio, ut vestra paternitas optime novit, Christus veritas (Joan. XIV, 6) et justitia sit; qui pro justitia et veritate moritur, pro Christo moritur; qui autem pro Christo moritur, Ecclesia teste, martyr habetur. Beatus vero Elfegus aeque pro justitia, ut beatus Joannes passus est pro veritate. Cur ergo magis de unius quam de alterius vero sanctoque martyrio quisquam ambigat, cum par causa in mortis perpessione utrumque detineat? Haec me quidem, reverende Pater, in quantum perspicere possum, rata esse ipsa ratio docet, attamen vestrae prudentiae est, et me si aliter sentit ab hoc corrigendo revocare, et quid potissimum in tanta re sentiendum sit, Ecclesiae Dei docendo monstrare. » Ad quod Lanfrancus: « Fateor, inquit, subtilem perspicaciam, et perspicacem subtilitatem ingenii tui vehementer approbo et veneror, firmaque ratione tua edoctus beatum Elfegum ut vere magnum et gloriosum martyrem Christi deinceps me colere et venerari ex corde, gratia Dei juvante, confido. » Quod ipse postmodum devote exercitus est, quin et historiam vitae ac passionis ejus diligenti studio fierit praecepit. Quam quidem historiam non solum plano dictamine ad legendum, verum etiam musico modulamine ad canendum a jucundae memoriae Osberno Cantuariensis Ecclesiae monacho ad praeceptum illius nobiliter editam, ipse sua prudentia pro amore illius martyris celsius insignivit, insignitam auctorisavit, auctorisatam in Ecclesia Dei legi cantarique instituit, nomenque martyris hac in parte non parum glorificavit.
Ma Anselmo, come uomo prudente, rispose con semplicità e chiarezza alla questione postagli da un uomo altrettanto prudente, dicendo:
«È evidente che colui che non esita a morire piuttosto che commettere anche solo un lieve peccato contro Dio, tanto meno esiterebbe a morire prima di incorrere in un peccato grave che potesse esacerbare Dio. Ora, è certamente un peccato più grave negare Cristo che imporre ai propri uomini, per il riscatto della propria vita, un sacrificio pecuniario di lieve entità. Ma sant'Elfego non volle fare neppure questo. Tanto meno, dunque, avrebbe negato Cristo, se una mano violenta avesse tentato di costringerlo a farlo con la minaccia della morte.*
Da ciò si comprende quanto la giustizia abitasse profondamente nel suo cuore, poiché preferì dare la propria vita piuttosto che scandalizzare il prossimo, disprezzando la carità. Perciò egli fu lontano da quel "guai a colui per cui viene lo scandalo" (Mt 18,7) minacciato dal Signore. E, a mio avviso, non a torto è annoverato tra i martiri, poiché è attestato con verità che egli sopportò volontariamente la morte per una giustizia tanto grande.*
Infatti, anche san Giovanni Battista, che è venerato e creduto da tutta la Chiesa di Dio come il più grande dei martiri, non morì perché gli fu imposto di negare Cristo, ma perché rifiutò di tacere la verità. E qual è la differenza tra morire per la giustizia e morire per la verità?*
Inoltre, poiché, come attesta la Sacra Scrittura—come la vostra paternità sa bene—Cristo stesso è Verità (Gv 14,6) e Giustizia, chi muore per la giustizia e la verità, muore per Cristo; e chi muore per Cristo, come testimonia la Chiesa, è considerato martire.*
Ora, il beato Elfego patì per la giustizia così come il beato Giovanni Battista patì per la verità. Perché dunque si dovrebbe dubitare della santità e della verità del martirio dell’uno più che dell’altro, se entrambi furono condotti alla morte per la medesima causa?*
Questa, venerabile padre, è la conclusione che, per quanto posso discernere, la pura ragione mi insegna. Tuttavia, sta alla vostra prudenza correggermi se mi sbaglio, e indicare alla Chiesa di Dio qual è il giudizio più giusto in una questione così importante."*
A queste parole Lanfranco rispose:
«Devo ammettere che approvo e ammiro profondamente la sottigliezza del tuo intelletto e la chiarezza della tua argomentazione. In effetti, dopo il ragionamento che mi hai esposto, mi sento convinto e illuminato, e con l’aiuto della grazia di Dio, mi impegno d’ora in poi a venerare il beato Elfego come un vero e glorioso martire di Cristo.»
E così fece in seguito con grande devozione.
Non solo: ordinò anche che venisse scritta con grande cura la storia della vita e del martirio di sant'Elfego.
Questa storia, oltre a essere composta in una forma narrativa chiara per la lettura, fu anche adattata in versi musicali per essere cantata, grazie all’opera dell’illustre monaco Osberno della Chiesa di Canterbury.
Lanfranco, con la sua saggezza, la impreziosì ulteriormente, la autenticò e ne stabilì l’uso ufficiale nella Chiesa, affinché fosse letta e cantata, conferendo così ancor maggiore gloria al nome del martire.
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.