Titoli dei paragrafi, abstract e traduzione in italiano sono a cura di Note di Storia.
Sono pubblicati con il solo scopo divulgativo per facilitare la lettura del testo.
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Indice
Paragrafo 1
[Introduzione: un racconto di verità e semplicità]
L'autore, rispondendo all’esortazione di Agostino, accetta il compito di scrivere la vita di Sant’Ambrogio, consapevole di non essere all’altezza degli illustri predecessori come Atanasio, Girolamo e Severo. Tuttavia, si propone di narrare ciò che ha appreso da testimoni diretti, tra cui la sorella di Ambrogio, Marcellina, e di farlo con uno stile semplice e conciso, affinché la verità non venga offuscata da ornamenti retorici. Sottolinea come anche le cose più semplici possano essere preziose, come una piccola sorgente per il viandante assetato o il pane d’orzo per chi è abituato a sontuosi banchetti.
Paragrafo 2
[Un racconto fondato sui fatti]
L'autore esorta i lettori a considerare veritiero il suo racconto, assicurando di non aver aggiunto nulla per mero affetto o devozione, ma di essersi attenuto ai fatti. Sottolinea inoltre la responsabilità morale di dire la verità, citando il Vangelo di Matteo. Riconosce che altri potrebbero conoscere dettagli che lui non ha potuto vedere o ascoltare direttamente. Infine, annuncia che inizierà la narrazione dalla nascita di Sant’Ambrogio, per mostrare come la grazia divina lo abbia accompagnato fin dall’inizio della sua vita.
Paragrafo 3
[Il prodigio delle api, segno divino nella culla]
Sin dalla sua infanzia, Ambrogio fu protagonista di un segno prodigioso: mentre dormiva nella culla, uno sciame di api si posò sulla sua bocca, entrando e uscendo ripetutamente. Suo padre, anziché allontanarle, attese con timore il significato di tale evento, che si concluse con la scomparsa dello sciame nell'aria. Interpretò il fatto come un presagio di grandezza per il figlio. L'episodio fu letto in chiave profetica: le api simboleggiavano la dolcezza della sua futura eloquenza e il suo ruolo di guida spirituale capace di elevare gli uomini a Dio.
Paragrafo 4
[Il bambino che si diceva vescovo]
Fin da giovane, Ambrogio manifestò segni del suo futuro episcopato. Cresciuto a Roma con la madre vedova e la sorella consacrata, si divertiva a offrire la mano affinché fosse baciata, come avveniva con i sacerdoti. Egli stesso affermava che sarebbe diventato vescovo, senza sapere che in lui parlava già lo Spirito del Signore. Le donne di casa, tuttavia, non presero sul serio le sue parole, considerandole semplici giochi infantili.
Paragrafo 5
[L’arrivo di Ambrogio a Milano e la sua carriera pubblica]
Ambrogio, dopo un’educazione nelle arti liberali, intraprese una brillante carriera forense, distinguendosi per la sua eloquenza. Il prefetto Probo lo scelse come consigliere, riconoscendone le capacità. In seguito, ricevette la carica di console e fu nominato governatore delle province della Liguria e dell’Emilia, il che lo portò a stabilirsi a Milano.
Paragrafo 6
[Da pacificatore a pastore della Chiesa di Milano]
Dopo la morte del vescovo ariano Auxentius, la città di Milano fu scossa da tensioni tra cattolici e ariani per la scelta del nuovo vescovo. Ambrogio, incaricato di placare la rivolta, si recò alla chiesa per parlare al popolo. Mentre parlava, una voce di bambino tra la folla esclamò: «Ambrogio vescovo!». Quel grido fu accolto come un segno divino e, inaspettatamente, l’intera popolazione, fino a quel momento divisa, si unì in un consenso unanime per la sua elezione.
Paragrafo 7
[Vescovo contro la propria volontà]
Di fronte alla volontà popolare che lo voleva vescovo, Ambrogio cercò di resistere: abbandonò la chiesa e salì su una tribuna, cercando di riaffermare la sua autorità civile. Fece persino applicare torture, ma il popolo non desistette. Sconvolto, decise di dedicarsi alla filosofia, ma fu presto chiamato a diventare un autentico filosofo di Cristo, seguendo la semplicità e la fede degli apostoli. Nel tentativo estremo di dissuadere i milanesi, fece entrare pubblicamente delle prostitute nella sua casa, ma la folla, anziché indignarsi, ribadì con forza la sua volontà, vedendo in lui il futuro vescovo.
Paragrafo 8
[La volontà di Dio su Ambrogio]
Ambrogio tentò di fuggire da Milano per sottrarsi alla nomina a vescovo, ma, miracolosamente, si ritrovò ancora all’interno della città. Dio stesso, che lo aveva scelto come difensore della Chiesa contro le eresie, bloccò la sua fuga. Il popolo lo trattenne e inviò una richiesta all'imperatore Valentiniano, il quale accolse con gioia la sua designazione. Anche il prefetto Probo si rallegrò, vedendo avverarsi le parole che aveva rivolto ad Ambrogio al momento della sua partenza per Milano: «Non andare come giudice, ma come vescovo.»
Paragrafo 9
[L’ultima fuga e la resa alla volontà di Dio]
Ambrogio tentò nuovamente di fuggire e si nascose nella proprietà di un uomo influente, Leontius. Tuttavia, fu tradito e ricondotto a Milano. Resosi conto che non poteva più opporsi alla volontà di Dio, accettò il battesimo, ponendo particolare attenzione a riceverlo solo da un vescovo cattolico per evitare l’eresia ariana. Fu quindi consacrato vescovo in soli otto giorni, tra la gioia generale. Anni dopo, tornando a Roma, ritrovò la giovane che un tempo si era rifiutata di baciargli la mano e, ora che era sacerdote, lei lo fece. Con un sorriso, Ambrogio le ricordò la sua antica profezia, ora divenuta realtà.
Paragrafo 10
[La guarigione della paralitica]
Durante un banchetto presso una nobile donna, Ambrogio celebrava il sacrificio eucaristico. Una donna paralitica, venuta a sapere della sua presenza, chiese di essere portata lì. Non appena riuscì a toccare i suoi paramenti, ricevette immediatamente la guarigione e iniziò a camminare. Il prodigio confermò le parole di Cristo: «Chi crede in me farà opere ancora più grandi». L’evento, testimoniato da molti, rimase vivo nel ricordo della comunità anche dopo anni.
Paragrafo 11
[La sfida degli ariani a Sirmio]
Durante il tentativo di ordinare il vescovo Anemio a Sirmio, Ambrogio affrontò la resistenza dell'imperatrice Giustina e dei suoi sostenitori ariani, che volevano imporre un vescovo della loro fazione. Mentre egli restava impassibile davanti alle pressioni, una vergine ariana cercò di trascinarlo con la forza, ma Ambrogio la ammonì di temere il giudizio di Dio. Il giorno dopo, la donna morì improvvisamente. Questo evento impressionò profondamente gli oppositori e garantì la pace alla Chiesa cattolica nella nomina del nuovo vescovo.
Paragrafo 12
[La persecuzione di Giustina e il castigo di Eutimio]
Dopo il ritorno a Milano, Ambrogio subì le persecuzioni dell'imperatrice Giustina, che tentò di corrompere il popolo con promesse di onori e cariche per chiunque lo catturasse. Tra i suoi oppositori, un certo Eutimio progettò di rapirlo, preparando persino un carro per trasportarlo in esilio. Tuttavia, un anno dopo, proprio nel giorno in cui aveva pianificato il rapimento, fu lui stesso esiliato su quel carro. Riconobbe il fatto come un giusto castigo divino. Ambrogio, invece di vendicarsi, lo aiutò fornendogli i mezzi per il viaggio.
Paragrafo 13
[La basilica assediata e il miracolo dei soldati]
Nonostante la punizione di Eutimio, Justina e gli ariani intensificarono la loro persecuzione, tentando di impadronirsi della basilica Portiana e inviando un esercito armato per impedirne l’accesso ai cattolici. Tuttavia, per un intervento divino, i soldati stessi cambiarono atteggiamento: non solo difesero la chiesa, ma permisero ai fedeli di entrarvi e si unirono a loro nella proclamazione della fede cattolica. In questo contesto nacque una nuova tradizione liturgica: a Milano si cominciò a celebrare le antifone, gli inni e le veglie, una pratica che si diffuse poi in tutto l’Occidente.
Paragrafo 14
[Protaso e Gervaso: il ritrovamento dei martiri dimenticati]
Durante il suo episcopato, Ambrogio scoprì i corpi dimenticati dei santi Protaso e Gervaso, che erano sepolti nella stessa basilica di Nabore e Felice ma di cui nessuno ricordava più l’esistenza. Quando furono ritrovati e traslati con onore, si verificarono numerosi miracoli: un cieco di nome Severo recuperò la vista dopo aver toccato le loro vesti, e molti posseduti dagli spiriti maligni furono liberati. La venerazione dei martiri contribuì al rafforzamento della fede cattolica, mentre l’eresia ariana continuava a perdere influenza.
Paragrafo 15
[Calunnie contro Ambrogio e i martiri]
Dopo il ritrovamento dei corpi dei martiri, la persecuzione voluta da Justina contro Ambrogio iniziò a diminuire, ma gli ariani continuarono a schernire i miracoli attribuiti alla grazia di Dio. Essi accusarono Ambrogio di aver pagato persone affinché fingessero possessioni e liberazioni miracolose. Questa calunnia riecheggiava l’accusa che i Giudei avevano rivolto a Cristo, dicendo che esorcizzava per mezzo di Beelzebub. Paradossalmente, mentre i demoni stessi riconoscevano i martiri, gli ariani negavano la loro santità, dimostrando così di essere più ciechi perfino degli spiriti maligni.
Paragrafo 16
[La giustizia divina smaschera gli ariani]
Dio non permise a lungo che gli ariani deridessero i suoi santi: uno di loro fu improvvisamente posseduto da uno spirito immondo e gridò che lo stesso tormento avrebbe colpito chi negava i martiri e l’unità della Trinità, come predicava Ambrogio. Invece di convertirsi, i suoi compagni lo uccisero, annegandolo in una piscina, aggravando la loro colpa con un omicidio. Ambrogio, invece, accolse tutto con umiltà e continuò a crescere nella fede e nella grazia divina.
Paragrafo 17
[La conversione miracolosa di un ariano]
Un accanito difensore dell’arianesimo, noto per la sua ostinazione contro la fede cattolica, si trovò ad assistere a un evento straordinario durante una predicazione di Ambrogio: vide un angelo sussurrargli all’orecchio, come se il vescovo riferisse direttamente le parole celesti al popolo. Questa visione lo trasformò radicalmente, portandolo a difendere con convinzione la fede che fino ad allora aveva combattuto.
Paragrafo 18
[La lezione sull’Incarnazione]
Due funzionari ariani dell’imperatore Graziano sfidarono Ambrogio su un tema teologico riguardante l’Incarnazione di Cristo, promettendo di presentarsi alla basilica Portiana per il dibattito. Il giorno seguente, tuttavia, presi dalla superbia, ignorarono la promessa e decisero di lasciare la città in carrozza, deridendo la Chiesa. Ma furono puniti immediatamente: furono sbalzati dalla carrozza e morirono sul colpo.
Ignaro dell’accaduto, Ambrogio attese nella basilica, poi iniziò il suo discorso dicendo: «Desidero rispondere ai miei creditori, ma essi non si trovano più.» Il suo insegnamento su questo tema divenne in seguito il trattato "De Incarnatione Domini".
Paragrafo 19
[La fermezza di Ambrogio contro l’usurpatore Massimo]
Dopo la morte di Graziano, Ambrogio si recò presso Massimo per reclamare il corpo dell’imperatore defunto. Con grande fermezza, lo ammonì, escludendolo dalla comunione ecclesiastica e invitandolo a fare penitenza per l’omicidio di un innocente. Massimo, però, rifiutò il pentimento e, a causa del suo orgoglio, perse sia la grazia divina che il potere terreno: il regno usurpato gli fu tolto e, per paura, fu costretto ad ammettere di non essere mai stato un vero imperatore.
Paragrafo 20
[Un aruspice confessa: i demoni non potevano avvicinarsi]
Dopo la morte di Justina, l’aruspice Innocenzo, sotto tortura, confessò di aver compiuto un rito demoniaco contro Ambrogio, sperando di fomentare l’odio popolare. Dichiarò inoltre di aver inviato spiriti maligni per eliminarlo, ma questi rifiutarono, rivelando che un fuoco divino circondava la casa del vescovo, impedendo loro di avvicinarsi.
Un altro sicario, inviato da Justina con un pugnale, riuscì a entrare nella stanza di Ambrogio, ma il suo braccio si paralizzò nel momento in cui tentò di colpire. Solo dopo aver confessato il crimine, la sua mano riacquistò la mobilità.
Nel frattempo, il popolo, vedendo questi segni, cresceva sempre più nella fede cattolica e nell’amore per Ambrogio.
Paragrafo 21
[La paura del maligno davanti al santo vescovo]
Un giovane notaio, posseduto da uno spirito immondo, fu inviato dal vescovo Ambrogio per ricevere aiuto. Appena lasciò Roma, il demonio lo abbandonò per timore del santo vescovo e, per tutto il periodo trascorso a Milano, non mostrò segni di possessione. Tuttavia, non appena si avvicinò nuovamente a Roma, il demonio tornò a tormentarlo.
Interrogato dagli esorcisti, lo spirito confessò di aver atteso fuori Milano per paura di Ambrogio, pronto a riprendere possesso del giovane non appena fosse tornato nel luogo dove lo aveva lasciato.
Paragrafo 22
[La fermezza di Ambrogio contro l’editto dell’imperatore Teodosio]
In Oriente, alcuni cristiani incendiarono una sinagoga e un tempio dei Valentiniani, perché gli adepti di queste religioni insultavano e perseguitavano i monaci cristiani. L'imperatore Teodosio, venuto a conoscenza dell'accaduto, ordinò che il vescovo locale ricostruisse la sinagoga a sue spese e che si prendessero provvedimenti contro i monaci.
Venuto a conoscenza dell’editto, Ambrogio si oppose con forza e inviò una lettera all’imperatore, esortandolo a revocare il decreto. Gli ricordò che, se un vescovo non fosse stato degno di essere ascoltato da lui, allora neppure l’imperatore sarebbe stato degno di essere ascoltato da Dio. Infine, dichiarò di essere disposto a morire pur di non rendere complice l’imperatore di un’ingiustizia contro la Chiesa.
Paragrafo 23
[La fede prima del potere: Ambrogio rifiuta di celebrare la Messa]
Dopo essere tornato a Milano, Ambrogio affrontò pubblicamente l’imperatore Teodosio, mettendolo di fronte alle sue responsabilità per l’ingiusto ordine sulla sinagoga e i monaci. Parlò al popolo come se fosse Dio stesso a rimproverare l’imperatore per aver concesso una vittoria ai nemici della Chiesa.
Teodosio riconobbe il proprio errore e, su pressione di Ambrogio e dei suoi consiglieri, revocò l’ordine. Tuttavia, Ambrogio rifiutò di celebrare la Messa finché l’imperatore non avesse confermato pubblicamente la sua fede.
Solo dopo questa dichiarazione, il vescovo si ritenne soddisfatto e celebrò i sacramenti. Questo episodio fu poi narrato da Ambrogio nella Epistola 41 a sua sorella.
Paragrafo 24
[Il massacro di Salonicco e la penitenza di Teodosio]
Dopo aver promesso il perdono ai cittadini di Salonicco, l’imperatore Teodosio, influenzato dai suoi consiglieri, ordinò segretamente un massacro nella città.
Quando Ambrogio scoprì l’accaduto, impedì all’imperatore di entrare in chiesa e di ricevere i sacramenti, ritenendolo indegno fino a quando non avesse fatto penitenza pubblica.
Teodosio cercò di giustificarsi con l’esempio del re Davide, ma Ambrogio gli rispose con decisione:
«Se hai seguito Davide nel peccato, seguilo anche nella penitenza.»
Colpito da queste parole, l’imperatore accettò umilmente la penitenza, che si rivelò un passo decisivo per il suo futuro successo militare.
Paragrafo 25
[La sfida dei saggi persiani]
Due saggi persiani giunsero a Milano per verificare la fama di Ambrogio. Disputarono con lui fino a notte, restando stupiti dalla sua sapienza. Il giorno dopo, salutarono l’imperatore e si recarono a Roma per conoscere il potente Probo, quindi tornarono in Persia.
Paragrafo 26
[Ambrogio contro il senato romano]
Mentre Teodosio era a Costantinopoli, il senato romano chiese il ripristino dell’altare della Vittoria. Ambrogio scrisse un libello all’imperatore, confutando la richiesta così brillantemente che Simmaco non osò rispondere. Dopo la morte di Valentiniano II, l’usurpatore Eugenio cedette alle pressioni pagane e restaurò l’altare, dimenticando la fede cristiana.
Paragrafo 27
[Ambrogio ammonisce l’imperatore Eugenio]
Ambrogio lasciò Milano per evitare Eugenio e si rifugiò prima a Bologna, poi a Faenza e infine in Toscana. Da lì, inviò all’imperatore una lettera di ammonimento, ricordandogli che Dio è più grande del potere imperiale e che avrebbe dovuto difendere la vera fede. Non potendo più aiutarlo, Ambrogio si preoccupò solo della propria coscienza.
Paragrafo 28
[Il bambino risorto per la fede di sua madre]
A Firenze, Ambrogio guarì un bambino posseduto, ma pochi giorni dopo il piccolo morì. La madre, piena di fede, lo depose nel letto del vescovo. Al suo ritorno, Ambrogio, come il profeta Eliseo, si stese sul corpo e pregò, ottenendo la sua resurrezione. Scrisse poi un libro per il bambino, ma non raccontò mai il miracolo nei suoi testi.
Paragrafo 29
[Vitale e Agricola: martiri rivelati ai cristiani]
A Firenze, Ambrogio costruì una basilica e vi collocò le reliquie di Vitale e Agricola, rinvenute a Bologna. I santi si erano rivelati a un sacerdote, poiché i loro corpi giacevano tra quelli dei Giudei. Durante la traslazione, il popolo esultò di gioia, mentre i demoni confessavano il potere dei martiri.
Paragrafo 30
[La fama di santità di Ambrogio tra i Franchi]
Arbogaste sconfisse i Franchi e concluse la pace. Durante un banchetto, i re franchi gli chiesero di Ambrogio. Saputo che era suo amico, risposero: «Per questo vinci, perché sei amato da colui che ferma il sole.» L’episodio mostra la fama di santità di Ambrogio anche tra i barbari.
Paragrafo 31
[La vittoria di Teodosio e la clemenza di Ambrogio]
Tornato a Milano, Ambrogio attese fiducioso Teodosio, mentre Eugenio e Arbogaste minacciavano la Chiesa. Dio punì i persecutori e diede la vittoria all’imperatore cristiano.
Dopo la battaglia, Ambrogio intercedette per i prigionieri, ottenendo da Teodosio il loro perdono. L’imperatore riconobbe di dovere la vittoria alle preghiere del vescovo.
Paragrafo 32
[La scoperta miracolosa del corpo di San Nazario]
Dopo la morte di Teodosio, Ambrogio visse ancora tre anni. In questo periodo, traslò le reliquie di San Nazario, scoprendo che il suo sangue era ancora fresco e il suo capo perfettamente conservato. La tomba emanava un profumo straordinario, segno della santità del martire.
Paragrafo 33
[Un indemoniato sfida Ambrogio e viene messo a tacere]
Dopo la traslazione di San Nazario, Ambrogio pregò presso la tomba di San Celso, luogo che non aveva mai visitato. Fu rivelato che da generazioni il sito era custodito come un tesoro. Durante la predica, un indemoniato gridò, dicendo di essere tormentato da Ambrogio. Il vescovo rispose: «Non io, ma la fede dei santi ti tormenta!», e il demonio fu ridotto al silenzio.
Paragrafo 34
[Il rapimento di Cresconio e la punizione divina]
Durante i giochi imperiali, i soldati di Stilicone rapirono Cresconio dalla chiesa, nonostante la resistenza di Ambrogio. Poco dopo, però, i leopardi si scagliarono sui soldati, punendoli. Stilicone, colpito dall’evento, si pentì, liberò Cresconio e in seguito gli concesse il perdono.
Paragrafo 35
[L’insegnamento di Ambrogio sulla fragilità umana]
Mentre si recava a palazzo, Ambrogio vide Teodulo, allora notaio, ridere della caduta di un uomo. Il vescovo lo ammonì: «Tu che stai in piedi, bada di non cadere». Subito dopo, Teodulo cadde lui stesso, imparando la lezione.
Paragrafo 36
[La profezia di Ambrogio su Macedonio]
Quando Ambrogio fu respinto da Macedonio, gli predisse che un giorno sarebbe stato lui a cercare rifugio nella Chiesa, senza poter entrare. Dopo la morte di Graziano, Macedonio tentò di rifugiarsi in chiesa, ma, pur trovando le porte aperte, non riuscì a entrare.
Paragrafo 37
[La profezia su Macedonio]
Quando Ambrogio fu respinto da Macedonio, gli predisse che un giorno sarebbe stato lui a cercare rifugio nella Chiesa, senza poter entrare. Dopo la morte di Graziano, Macedonio tentò di rifugiarsi in chiesa, ma, pur trovando le porte aperte, non riuscì a entrare.
Paragrafo 38
[Ambrogio, vescovo di austerità e sacrificio]
Ambrogio visse con grande austerità, digiunando ogni giorno tranne il sabato, la domenica e le feste dei martiri. Dedicava giorni e notti alla preghiera e alla scrittura. Alla sua morte, furono necessari cinque vescovi per svolgere il suo lavoro. Donò tutti i suoi beni alla Chiesa e ai poveri, scegliendo di seguire Cristo spogliato di tutto.
Paragrafo 39
[La vera penitenza: confessione e cambiamento]
Ambrogio piangeva con chi si pentiva, condividendo il peso del peccato. Mai rivelava le confessioni, insegnando che il sacerdote deve essere intercessore, non accusatore. Il vero pentimento, però, non si esaurisce nella confessione, ma deve portare a un cambiamento, come dimostrò Davide nel suo dolore dopo il perdono divino.
Paragrafo 40
[Il dolore di Ambrogio per la morte dei giusti]
Ambrogio soffriva profondamente per la morte dei santi sacerdoti, non per la loro dipartita, ma perché era difficile trovarne di altrettanto degni. Predisse la propria morte, annunciando che sarebbe vissuto fino alla Pasqua, desiderando essere presto liberato da Dio.
Paragrafo 41
[L’avidità: il male che distrugge l’Italia]
Ambrogio si addolorava nel vedere l’avidità diffondersi tra i potenti e persino tra alcuni chierici, che avrebbero dovuto avere Dio come unica ricchezza. Denunciava la corruzione, che stava rovinando l’Italia, e invitava a liberarsi dalle catene del possesso, confidando solo in Cristo, la roccia eterna.
Paragrafo 42
[Il fuoco dello Spirito Santo avvolge Ambrogio]
Pochi giorni prima di ammalarsi, mentre dettava il Salmo 43, una fiamma luminosa avvolse Ambrogio, penetrando nel suo corpo attraverso la bocca. Il suo volto divenne bianco come la neve, poi tornò normale. Non riuscì a completare il Salmo. Un diacono gli spiegò che aveva ricevuto lo Spirito Santo, come narrato negli Atti degli Apostoli.
Paragrafo 43
[Il servo di Stilicone e il castigo divino]
Un servo di Stilicone, guarito da una possessione, si rifugiò nella basilica Ambrosiana, ma fu scoperto a falsificare documenti. Ambrogio lo convocò e, dopo aver svelato il suo inganno, dichiarò: «Sia consegnato a Satana». Immediatamente, fu posseduto di nuovo e dilaniato dal demonio. In quei giorni, molti altri furono liberati dal vescovo.
Paragrafo 44
[Il miracolo di Nicenzio]
Nicenzio, un ex tribuno afflitto da un grave dolore ai piedi, fu calpestato accidentalmente da Ambrogio mentre riceveva l’Eucaristia. Il vescovo gli disse: «Va’, e sarai guarito.» Da quel giorno, il dolore scomparve del tutto e mai più tornò, come Nicenzio stesso testimoniò tra le lacrime dopo la morte di Ambrogio.
Paragrafo 45
[«Non temo di morire, perché Dio è buono»]
Ammalatosi gravemente, Ambrogio fu supplicato dai nobili di Milano, su richiesta di Stilicone, affinché pregasse Dio di prolungargli la vita, temendo che l’Italia precipitasse nel caos dopo la sua morte. Ambrogio rispose con serenità: «Non mi vergogno di vivere, né temo di morire: Dio è buono.»
Paragrafo 46
[La scelta di Simpliciano: un segno divino]
Mentre Ambrogio era agonizzante, quattro diaconi discussero sottovoce su chi sarebbe stato il suo successore. Pronunciando il nome di Simpliciano, Ambrogio, senza poterli sentire, esclamò per tre volte: «Vecchio, ma buono!». Spaventati, i diaconi fuggirono. Dopo la morte del santo, Simpliciano fu eletto vescovo, confermando la profezia.
Paragrafo 47
[La morte in preghiera: le braccia aperte come Cristo]
Mentre pregava, Ambrogio vide Gesù sorridergli. Trascorse le ultime ore con le braccia aperte in forma di croce, in preghiera silenziosa. Il sacerdote Honorato, avvertito in sogno, gli portò l’Eucaristia. Dopo averla ricevuta, Ambrogio spirò, come Elia, che non ebbe paura di affrontare i potenti.
Paragrafo 48
[Un funerale che unì cristiani, ebrei e pagani]
Nella notte di Pasqua, il corpo di Ambrogio fu esposto in chiesa. I bambini battezzati lo vedevano ancora vivo, seduto o camminante, mentre alcuni notarono una stella sopra di lui. Durante il funerale, una folla di indemoniati gridava per il tormento. La processione era enorme, con cristiani, ebrei e pagani, ma i neobattezzati avevano il posto d’onore.
Paragrafo 49
[Ambrogio appare in Oriente il giorno della sua morte]
Il giorno della morte di Ambrogio, alcuni santi uomini in Oriente raccontarono di averlo visto pregare con loro e imporre le mani, senza sapere che era già defunto. Una lettera inviata a lui come se fosse vivo arrivò a Milano, dove il suo successore Simpliciano constatò che la data corrispondeva esattamente al giorno della sua morte.
Paragrafo 50
[La visione di Ambrogio che salvò Firenze dall’assedio]
A Firenze, nella basilica fondata da Ambrogio, il santo fu visto pregare più volte dopo la morte, come riferì il vescovo Zenobio. Durante l’assedio di Radagaiso, un cittadino ebbe una visione di Ambrogio, che gli annunciò la salvezza imminente. Il giorno dopo, l’esercito di Stilicone sconfisse i barbari, confermando la profezia.
Paragrafo 51
[Mascezel e il miracolo che gli diede la vittoria]
Il generale Mascezel racconta che, durante la guerra contro Gildone, ebbe una visione di Ambrogio, che batté tre volte il suo bastone a terra dicendo: «Qui, qui, qui.» Mascezel capì che in quel luogo, tre giorni dopo, avrebbe ottenuto la vittoria, e così fu.
Paragrafo 52
[Il cieco dalmata e la profezia di Ambrogio]
Un cieco dalmata ebbe una visione di Ambrogio, che gli disse di recarsi a Milano per ricevere la vista il giorno dell’arrivo delle reliquie dei martiri Sisinnio e Alessandro. Obbedì alla rivelazione e, toccando il feretro, fu miracolosamente guarito.
Paragrafo 53
[La calunnia contro il giusto e la giustizia divina]
Vogliamo andare oltre il nostro proposito iniziale per mostrare come si sia compiuta la parola di Dio: chi calunnia il giusto viene perseguito dal Signore (Salmo 100,5). Leggendo la punizione di coloro che diffamarono Ambrogio, anche chi è incline alla maldicenza possa pentirsi e correggersi.
Paragrafo 54
[Donato e Murano: puniti per la diffamazione]
Due uomini, il presbitero Donato e il vescovo Murano, diffamarono Ambrogio in due diverse occasioni. Entrambi furono colpiti da un’improvvisa e violenta malattia, e morirono nello stesso luogo in cui avevano parlato male del santo. Gli eventi sconvolsero i testimoni, che riconobbero la giustizia divina.
Paragrafo 55
[Chiunque legga, impari e segua l’esempio del santo]
L’autore esorta i lettori a seguire l’esempio di Ambrogio, lodare la grazia di Dio ed evitare la maldicenza, affinché possano risorgere alla vita eterna con il santo, e non condividere il destino di coloro che furono puniti per le loro calunnie.
Paragrafo 56
[La preghiera di Paolino a sant’Agostino]
L’autore, Paolino, si rivolge a sant’Agostino, chiedendogli preghiere per la propria salvezza. Poiché non è stato degno di condividere la grazia con Ambrogio, spera almeno di ottenere il perdono dei suoi peccati ed evitare il castigo eterno.