NOTEdiSTORIA

I Peceneghi apparvero per la prima volta nella Rus’, mentre Svjatoslav era a Perejaslavec, e Ol’ga si rinserrò con i suoi nipoti, Jaropolk e Oleg e Vladimir, dentro la città di Kiev. E i Peceneghi assediarono con forze possenti la città, cingendola tutt’intorno con una moltitudine innumerevole. Non si poteva uscire dalla città, né inviare messaggi; gli abitanti erano stremati dalla fame e dalla sete. Gli abitanti raccolti sull’altra riva del Dnepr si adunarono nelle imbarcazioni e restavano su quella riva, perché non era possibile a nessuno di loro andare a Kiev, né a qualcuno della città comunicare con loro.

E la gente si affliggeva e diceva: «Non c’è nessuno che possa raggiungere l’altra riva per dire loro: Se non sarete domani mattina sotto la città, ci arrenderemo ai Peceneghi». E un giovane disse: «Andrò io». E gli dissero: «Vai!». Egli uscì dunque dalla città con una briglia in mano, e prese a correre fra i Peceneghi gridando: «Nessuno ha visto il mio cavallo?» poiché egli conosceva la lingua dei Peceneghi ed essi lo scambiarono per uno dei loro. Ed egli si avvicinò al fiume, gettò i suoi abiti, si tuffò nel Dnepr e si mise a nuotare. I Peceneghi vedendo ciò lo inseguirono e scoccarono su di lui le loro frecce, ma non poterono fargli nulla. Quelli dell’altra riva, scorgendolo gli andarono incontro con le imbarcazioni, lo issarono a bordo e lo condussero dalla družina. Ed egli riferì loro «Se entro domani mattina non arriverete sotto la città, la gente si arrenderà ai Peceneghi».

Il loro voivoda, di nome Pretič, disse: «All’alba verremo con le barche e, dopo aver prelevato la principessa e i giovani principi e anche il loro seguito, torneremo su questa riva. Se non facciamo così, Svjatoslav si vendicherà facendoci morire».

L’indomani alle prime luci dell’alba, essi montarono sulle imbarcazioni, dettero fiato alle trombe e la gente in città cominciò a gridare. I Peceneghi, pensando che il principe fosse ritornato, fuggirono senza ordine dalla città. E Ol’ga andò con i suoi nipoti e il seguito verso le imbarcazioni. Vedendo ciò, il principe dei Peceneghi tornò da solo indietro verso il voivoda Pretič e disse «Chi è arrivato?». E l’altro gli rispose «Gli abitanti dell’altra sponda». E il principe dei Peceneghi domandò: «Sei forse tu il principe?». E l’altro disse «Io sono del suo seguito e sono arrivato con l’avanguardia, dietro a me sta giungendo un esercito innumerevole guidato dal principe». Egli disse questo per spaventarlo. E il principe dei Peceneghi implorò Pretič: «Sii mio amico!». Ed egli rispose: «Così sia!». E si dettero la mano. Il principe dei Peceneghi donò a Pretič un cavallo, una sciabola e delle frecce, quegli ricambiò con una corazza, uno scudo e una spada. I Peceneghi si allontanarono dalla città e non potevano [o: osavano] far abbeverare i cavalli nel fiume Lybed’. E gli abitanti di Kiev inviarono [ambasciatori] a Svjatoslav per dire «Principe, tu cerchi terre straniere e regno, ma trascuri la tua; per poco i Peceneghi non ci hanno catturato insieme a tua madre e ai tuoi figli. Se tu non vieni e non ci difendi, ci invaderanno ancora. Non hai forse pietà della patria dei tuoi padri e di tua vecchia madre e dei tuoi figli?». Sentendo ciò, Svjatoslav montò subito a cavallo con la sua družina e tornò a Kiev, abbracciò sua madre e i suoi figli, deplorando ciò che a loro era accaduto con i Peceneghi. Quindi radunò il suo esercito e respinse i Peceneghi nelle steppe e la pace ritornò.