Mortua vero Justina, quidam haruspex Innocentius nomine, non tamen opere, cum in causa maleficiorum a judice torqueretur aliud quam interrogabatur fateri coepit; clamabat enim ab angelo majora tormenta sibi adbiberi eo qui custodiret Ambrosium; quoniam temporibus Justinae ad excitanda odia populorum in Episcopum cacumen tecti ecclesiae conscendens, medio noctis sacrificaverit. Sed quanto instantius et sollicitius opera maligna exercebat, tanto magis amor populi circa fidem catholicam et Domini Sacerdotem convalescebat. Misisse se etiam et daemones, qui illum internecarent, fatebatur: sed daemones renuntiasse se non solum ad ipsum appropinquare minime posse, verum etiam nec ad fores domus, in qua manebat Episcopus; quia ignis insuperabilis omne illud aedificium communiret, ut etiam longe positi urerentur: atque ita cessasse artes suas, quibus adversus Domini Sacerdotem se aliquid posse arbitrabatur. Alius etiam gladium ferens ad cubiculum usque pervenit, ut interficeret Sacerdotem: sed cum elevasset manum, districto gladio, dextera exerta in aera obrigente remansit. Tunc se missum a Justina postquam confessus est, brachium quod inique cum extenderetur, obriguerat, sanatum est confessione.
Dopo la morte di Giustina, un certo Innocenzo, aruspice di nome ma non di fatto, fu sottoposto a tortura da un giudice per un caso di malefici. Sotto il tormento, iniziò a confessare fatti non richiesti, rivelando un terribile segreto.
Egli gridava che un angelo lo stava tormentando ben più del giudice, perché aveva cercato di danneggiare Ambrogio. Raccontò che, ai tempi di Justina, per fomentare l’odio del popolo contro il vescovo, era salito sul tetto della basilica nel cuore della notte e aveva compiuto un sacrificio demoniaco.
Ma più i nemici della fede tramavano nell’ombra, più il popolo cresceva nell’amore per la Chiesa cattolica e per il vescovo Ambrogio.
Innocenzo confessò inoltre di aver inviato demoni per uccidere Ambrogio, ma che questi avevano rifiutato, dichiarando di non poter nemmeno avvicinarsi alla sua dimora. Testimoniarono che un fuoco insuperabile proteggeva l’intero edificio, tanto che persino coloro che si avvicinavano da lontano ne venivano bruciati. Di fronte a un simile prodigio, abbandonò ogni tentativo di nuocere al vescovo.
Un altro uomo, incaricato da Giustina, riuscì persino a raggiungere la stanza di Ambrogio con un pugnale per assassinarlo. Tuttavia, nel momento in cui alzò la mano per colpire, il suo braccio rimase paralizzato in aria, immobile e rigido.
Solo dopo aver confessato che era stato mandato da Giustina per uccidere il vescovo, il suo braccio paralizzato si risanò.
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.