Exstineto Maximo, posito Theodosio imperatore Mediolani, Ambrosio vero episcopo constituto Aquileiae, in partibus Orientis in quodam castello a christianis viris synagoga Judaeorum et lucus Valentinianorum incendio concremata sunt, propterea quod Judaei vel Valentiniani insultarent monachis christianis; Valentinianorum enim haeresis triginta deos colit. Sed de hujusmodi facto comes Orientis ad imperatorem relationem direxit: qua accepta, imperator praeceperat ut synagoga ab episcopo loci reaedificaretur, in monachos vero vindicaretur. Sed hujus praecepti tenor cum ad aures pervenisset venerabilis viri Ambrosii episcopi, direxit ad imperatorem epistolam (Epist. 40), quia ipse in tempore excurrere non poterat, qua illum convenit, ut id quod ab eodem statutum fuerat, revocaretur, servarique sibi debere ab eo audientiam; quia si dignus non esset, qui ab illo audiretur, dignus etiam non esset, qui pro illo a Domino audiretur, vel cui suas preces, aut cui sua vota committeret: paratum etiam se esse pro tali negotio mortem subire, ne dissimulatione sui praevaricatorem faceret imperatorem, qui tam injusta contra Ecclesiam praecepisset.
Dopo la morte di Massimo e l'insediamento dell'imperatore Teodosio a Milano, mentre Ambrogio si trovava ad Aquileia, avvenne un grave episodio in Oriente: in un castello, alcuni cristiani incendiarono una sinagoga e un tempio dei Valentiniani, poiché i Giudei e i Valentiniani insultavano e perseguitavano i monaci cristiani.
La setta dei Valentiniani, infatti, credeva in trentatré divinità, e i suoi membri si erano uniti ai Giudei nel loro disprezzo verso i cristiani.
Il comes dell'Oriente riferì l’accaduto all’imperatore, e Teodosio ordinò che la sinagoga fosse ricostruita a spese del vescovo locale e che si prendessero provvedimenti punitivi contro i monaci.
Quando questa decisione giunse all'orecchio di Ambrogio, il vescovo, non potendo recarsi di persona a corte, inviò una ferma lettera all'imperatore (Epistola 40), esortandolo a revocare l’ingiusta disposizione.
Ambrogio gli ricordò che un imperatore non poteva permettersi di agire contro la Chiesa e gli dichiarò apertamente che, se lui non fosse stato ritenuto degno di essere ascoltato dall’imperatore, allora l’imperatore stesso non sarebbe stato degno di essere ascoltato da Dio nelle sue preghiere.
Con immensa determinazione, affermò di essere pronto a morire piuttosto che, con il suo silenzio, rendere complice Teodosio di un’ingiustizia contro la Chiesa.
Traduzione in italiano a cura di Note di Storia, pubblicata a solo scopo divulgativo e per facilitare la comprensione del testo.